venerdì 8 maggio 2009
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Tratto dalla Provincia di KR
Secondo una “Memoria” lasciata da un arciprete curato di Zinga, che amministrò quella chiesa dal 1908- 1913, “è fama che Federico 2° di Svevia scendendo in Calabria si impossessò anche di Casabona, formando della Frazione Zinga (allora Cinga) un bel unito castello” ed aggiunge che “Il protettore del borgo è San Giovanni Battista, a cui è dedicata la Parrocchia, il cui Sacro Tempio è stato aperto al pubblico nel 1343, come risultava al sommo della porta centrale, al tempo della mia dimora colà, in qualità di Arciprete Curato”. La presenza di una munita fortificazione a controllo della via, che dalla bassa valle del Neto si snodava sulla sinistra del Vitravo verso Umbriatico e la Sila, contraddistinguerà l’abitato che verrà denominato quasi sempre nelle scritture come Motta o Castrum di Cinga.
Primi documenti
Non ci sono documenti che confermino la fondazione di Cinga al tempo della dominazione sveva; anzi nella “Cedula subventionis in Iustitiariatu Vallis Grati et Terre Iordane” del 1276 mentre sono presenti le terre vicine di Gerentia, Caccurium, Lucrum, Bellumvedere, Casabona, Bertinum ecc., Cinga non compare1. Sembra quindi che la fondazione del castrum di Zinga sia da collegarsi alle vicende della guerra del Vespro, quando gli Almugaveri devastarono Umbriatico ed i vicini casali di Santa Marina, S.Nicolò dell’Alto e Maratea. Il primo documento, in cui appare Cinga, si riferisce al versamento delle decime per la Santa Sede del 1325 in diocesi di Umbriatico. Tra i nomi dei chierici della terra di Ypsgrò compare “dopnus Ioh.es de cinga che versa tar. unum et gr. decem”2.
Da un secondo documento, sempre dell’inizio del Trecento, riportato nei manoscritti del De Lellis e riguardante una lite per i confini di Cerenzia, si ricava anche il nome del signore della Motta di Cinga, che era Giovanni Rocca3.
Bisognerà arrivare alla metà del Quattrocento per trovare un altro atto riguardante Cinga e precisamente al tempo della discesa in Calabria di Alfonso D’Aragona per domare la ribellione del marchese di Crotone Antonio Centelles. L’undici dicembre 1444, mentre è all’assedio della città di Crotone, il re concede l’immunità dai diritti di fuoco per 25 anni a causa della povertà della terra al barone Uriello, o Oriolo, Malatacca per il castrum di Cinga4.
Ad Oriolo Malatacca de Casabuono, o di Crotone, seguì Elisabetta Malatacca, che risulta feudataria di Cinga, Xiloppici e Carnevale. A questa seguì il figlio Giovanni Pipino che ebbe la conferma della terra di Cinga, con le cause civili e criminali, e dei feudi di Xilopico e Malatacca5.
I baroni
All’inizio del Viceregno l’aristocratico crotonese Giovanni Antonio Pipino è barone di Zinga. Con tale titolo egli assieme a Nardo Lucifero e Bartolomeo Tibaldo ottiene nel 1506 la conferma dei privilegi della città di Crotone dal re Ferdinando il Cattolico6. Avendo parteggiato per i Francesi durante l’invasione del viceregno del 1528, Giovanni Pipino fu accusato del delitto di fellonia e privato del feudo che fu devoluto al fisco regio. Il 2 novembre 1528 il vicerè Don Pietro de Calon investiva della baronia del casale di Zinga Mariano Abenante7. Il casale ritornò tuttavia dopo poco ai Pipino, che nel 1536 ne risultano in possesso con Giovan Oratio Pipino8. Prospero Lucifero, ultrogenito dell’aristocratico crotonese Marcantonio Lucifero, sposò Faustina Pipino, baronessa di Zinga, passando così il feudo ai Lucifero9. Nel 1558 Prospero Lucifero, barone di Zinga, ottiene la riconferma dei privilegi concessi da Carlo V in quanto era stato al seguito del duca d’Alba10. Nella seconda metà del Cinquecento il feudo nonostante un aumento della popolazione, risulta quasi spopolato. Nella numerazione dei fuochi del 1545 è tassato per solo 5 fuochi, in quella del 1561 per 17 ed infine nel 1595 per 16. Nel suo territorio il Marafioti segnala la presenza di alcuni fonti di acqua salsa11.
La decadenza
Nel 1582 era signora di Zinga Zenobia Scaglione, vedova di Gio. Battista Caracciolo12; quindi ritornò ai Lucifero con Fabrizio al quale seguì Horatio Lucifero. Horatio Lucifero, barone di Zinga, abitò a Crotone in parrocchia del SS. Salvatore e sposò dapprima Beatrice Piterà, che morì di parto nel settembre 1616, dando alla luce Jo.es Fabritius. Durante il periodo in cui fu sotto il dominio del Lucifero Zinga, anche se conserva il nome di castrum, è in verità un piccolo villaggio abitato da gente povera , perlopiù braccianti che si spostano di continuo a seconda dei lavori stagionali.
All’inizio del Seicento il “castrum” di Zinga, che fin dalla sua fondazione fa parte della diocesi di Umbriatico, ha una cappella sotto l’invocazione di San Giovanni Battista e conta circa 100 abitanti. La cura delle anime è affidata ad alcuni sacerdoti che abitano nella vicina Casabona, in quanto la chiesa locale non ha rendite, se non decime personali tenuissime13. Il luogo è “solitario” e da tutti abbandonato. La stessa cura delle anime non è continua, in quanto nessun ecclesiastico vuole andarci ad abitare14.
Nel 1618 Oratio Lucifero, barone di Zinga, la vendeva per 20600 ducati a Giacomo d’Aquino15. Nello stesso anno 1618 Iacobo Malfitano, risulta il nuovo barone di Zinga16.
Giacomo Malfitano conserverà Zinga fino al 1647, quando la venderà ad Epaminonda Ferrari17.
Durante il periodo in cui fu sotto la baronia dei Malfitano l’abitato continuò a decadere. La chiesa parrocchiale ha la cura “ad libitum”, in quanto non si trova alcun religioso che voglia sopportare per sempre questo onere, perché il luogo è abitato da gente povera ed è “solitario”18.
Tassato per 15 fuochi, la terra “fu scossa ma non distrutta” dal terremoto del 163819. Il vescovo di Umbriatico Antonio Ricciulli (1632-1638) così la descrive: “spetta a Francesco Malfitano, ma non ha più di 70 abitanti, tutti poverissimi, per la qualcosa la cura è affidata ad un prete non stabile. Cercai di erigerla in parrocchiale ma non ci riuscii, perché gli uomini sono migratori ed il barone rifiuta di assegnare una dote”20.
Il nuovo abitato
Nel 1647 Zinga passava dai Malfitano ad Epaminonda Ferrari21. Al tempo del vescovo di Umbriatico Tommaso Tomasoni ( 1652- 1654) era quasi spopolata ed un solo sacerdote vi risiedeva ed aveva cura delle anime22. Il terremoto del 1659 distrusse l’abitato ed il nuovo feudatario lo spostò, riedificandolo “in proximo amaeniore colle” e facilitò il suo ripopolamento23. La rinascita dell’”oppidolum” di Zinga è documentata dal vescovo Vitaliano Marescano (1661- 1667), il quale nella sua relazione del maggio 1662 afferma che l’abitato distrutto dai terremoti era stato ricostruito su un vicino colle. Il nuovo villaggio contava meno di 200 abitanti e vi era una sola chiesa non ancora eretta in parrocchiale. Essa era in commenda al vescovo, al quale spettava scegliere i sacerdoti. Il vescovo stava per nominare il rettore, ma questo diritto di elezione era ostacolato dal barone e dagli abitanti del luogo. Così si era aperta una lunga controversia24. Tra il 1666 ed il 1669 la chiesa di Zinga diventò finalmente parrocchiale con il nuovo titolo di Santa Maria di Monte Carmelo. Sempre nello stesso periodo era costruita dalle fondamenta, a spese del barone del luogo Francesco Maria Ferrari da Cosenza, una nuova chiesa sotto il titolo di San Marco. E’ vescovo di Umbriatico Agostino de Angelis (1667-1681), il quale nella relazione del 1669 così si esprime: “ l’ “oppidum seu castrum” di Zinga è sotto il potere temporale del barone Francesco Maria dei Ferrari nativo di Cosenza. Ha due chiese; una parrocchiale è sotto il titolo di Santa Maria di Monte Carmelo, l’altra eretta più di recente è sotto il titolo di San Marco. Quest’ultima è stata fondata a spese del predetto barone di Zinga, che è un uomo pio e facoltoso. Per il servizio di queste chiese ci sono tre sacerdoti, tra i quali un curato il quale più che un arciprete è un economo25. La situazione religiosa rimarrà così per una decina di anni, durante la quale l’antica parrocchiale di San Giovanni Battista, distrutta ed abbandonata assieme al vecchio abitato, non è mai richiamata. In una successiva relazione del 1675 il vescovo De Angelis nell’elencare le chiese del nuovo abitato afferma che ci sono due chiese: una parrocchiale, che non ha però titolo, mentre l’altra eretta di recente dal barone conserva ancora il titolo originario di San Marco. Nel casale per servizio delle chiese ci sono ancora tre sacerdoti, tra i quali un curato, non arciprete ma economo, ed alcuni chierici26. Tre anni dopo lo stesso vescovo attesta che la chiesa, a suo tempo fondata a spese del barone Francesco Maria Ferrari e che originariamente era intitolata a San Marco, ora era dedicata a Santa Maria de Monte Carmelo, cioè aveva assunto il titolo che era stato della ricostruita parrocchiale. Dalla successiva relazione si viene a conoscenza che tra il 1675 ed il 1678 la parrocchiale di Zinga aveva ripreso il suo antico titolo. Così si esprime il vescovo De Angelis nella relazione del 1678: “Zinga ha due chiese; la parrocchiale è sotto l’invocazione di San Giovanni Battista, l’altra quella edificata dal barone Francesco Maria Ferrari è sotto il titolo di S. Maria di Monte Carmelo27.
Dai Ferrari ai Rota
Nel 1688 Giovan Battista Rota, figlio di Carlo Rota e di Lucrezia Ferrari, figlia di Epaminonda, morto lo zio materno Francesco Ferrari, gli successe nella baronia. Da una relazione di quell’anno del vescovo Gio. Battista Ponzio (1682-1689) il castrum di Zinga appare situato in un luogo malsano e di cattiva aria, abitato da circa 300 abitanti con tre sacerdoti e tre chierici ed un’unica chiesa parrocchiale28. Il 15 marzo 1689 Giovan Battista Rota moriva. Essendo morto senza lasciare figli il regio fisco incamerò i suoi feudi. A tale sequestro si oppose la zia materna del defunto, Ippolita Ferrari, coniugata con Vincenzo Rota, barone di Cerenzia29. Il feudo ritornò ai Rota. Dopo una fase di spopolamento causata dalle gravi epidemie della seconda metà del Seicento, il villaggio veniva tassato per soli 18 fuochi30. Sul finire del secolo si assiste ad una rinascita contando 25 fuochi. Nel 1700 Giuseppe Rota è feudatario di Zinga. Il villaggio ha circa 300 abitanti. Vi sono tre sacerdoti con l’arciprete curato. Oltre alla chiesa parrocchiale dedicata a San Giovanni Battista nella quale si conserva il SS. Sacramento e ci sono la fonte battesimale ed il sacrario, appaiono tre altre chiese, che sono decentemente ornate31: quella costruita a suo tempo dal barone Francesco Maria Ferrari è sotto l’invocazione di S. Maria di Monte Carmelo e le recenti di S. Maria della Pietà e dell’Immacolata Concezione. Quest’ultima, situata poco fuori dell’abitato tra Zinga e Casabona, era stata edificata secondo la “Memoria” nel 1684.
Il Settecento
Il feudo rimarrà ai Rota, principi di Cerenzia, per buona parte del Settecento:, dapprima con Vincenzo, poi col figlio Tommaso (20/10/1714), quindi Vincenzo (10/6/1727) ed Ippolita. In seguito passò al figlio di costei Ercole Giannuzzi Savelli (8/3/1786) e a suo figlio Tommaso Giannuzzi Savelli (15/11/1797). Quest’ultimo la vendeva per ducati 72000 a Nicola Barberio con Regio Assenso del 25/5/180232.
Durante il Settecento il villaggio mantiene una certa importanza, indicata da un incremento di popolazione e dal consolidarsi delle vecchie strutture ecclesiastiche e dalla nascita di nuove.
Nel 1724 il castrum di Zinga è abitato da 332 abitanti. Ha la chiesa parrocchiale dedicata a San Giovanni Battista, nella quale si amministrano i sacramenti. Vi è un arciprete, un diacono e tre chierici. Vi sono anche due altre piccole chiese33 rurali che sono state costruite presso l’abitato: una sotto il titolo della Concezione e l’altra della Pietà. A quest’ultima è annessa una casa per l’eremita34.
Nella numerazione dei fuochi del 1732 è tassato per 45 fuochi; quasi il doppio di pochi decenni prima35. La povertà degli abitanti, quasi tutti “fatigatori di campagna”, è segnalata dalle varie relazioni dei vescovi di Umbriatico. La stessa parrocchiale, nonostante sia sede di un arciprete, non è appetibile. Al concorso indetto nel 1760 dal vescovo Domenico Peronacci per ricoprire la carica di arciprete, rimasta vacante per il trasferimento di Giovanni Ferraro alla parrocchiale di S. Pietro di Crucoli, concorre solamente il prete del luogo Stefano Vitale36. Le rendite della chiesa sono minime e per i pochi ducati, che si contano su una mano, l’arciprete deve anche versare ogni anno al vescovo per la quarta parrocchiale cinque tomoli di grano e cinque di orzo37. Nel 1783 il vescovo Zaccaria Coccopalmeri (1779-1784) così la descrive: “Dalla terra di Casabona verso occidente sorge la città di Zinga, i cui 350 abitanti sono sotto il dominio temporale del principe di Cerenzia. Popolo infelice, abitante alle radici dei monti dove si trovano solamente le miniere di sale. Vi è una chiesa parrocchiale sotto il titolo di San Giovanni Battista il cui rettore, chiamato arciprete, ha la cura delle anime ed è aiutato da due sacerdoti. Questa chiesa ha bisogno di riparazioni nel pavimento e nel soffitto. Vi è un’altra chiesa rurale non molto distante dall’abitato sotto il titolo della Concezione di Beata Maria Vergine, che per devozione dei cittadini e per le pie devozioni di coloro che vi si recano con numerose offerte, appare sufficientemente ornata e si mantiene con le proprie rendite38. In una successiva relazione del vescovo Vincenzo Maria Castro si legge: Nella piccola cittadina di Zinga, nella quale abitano circa 300 anime, è costruita una piccola chiesa, il cui parroco gode di una piccolissima congrua. In questo paese gli uomini sono quasi tutti poveri. La chiesa in verità è sufficientemente ornata39. Sempre sul finire del Settecento è data una popolazione di 430 abitanti, attestata anche dall’Alfano per il quale Zinga è terra in diocesi di Umbriatico, feudo della casa Jannuzzi Savelli, d’aria mediocre che fa di popolazione 400 abitanti40.
Zinga e Casabona
La mia curiosità era grande.
Sono andato alla ricerca della persona indicatami da mio fratello e sono venuto a conoscenza che effettivamente si cantava il letto nuziale e anche delle persone che avrebbero potuto formare il coro.
Grazie all’intervento d’amici, dopo qualche mese finalmente sono riuscito a riunire il gruppo così costituito:
Aprigliano Eleonora, nata a Zinga il 6 dicembre 1936;
Lucente Franceschina, nata a Strongoli il 24 marzo 1920;
Pisano Grazia, nata a Zinga il 1° febbraio 1915;
Papparella Maria, nata a Zinga il 4 luglio 1909;
Sisia Carmela, nata a Zinga il 13 maggio 1905;
Vitale Grazia, nata a Zinga il 29 novembre 1931.
Trascrizione del canto nuziale
La suocera accoglie la nuora:
Jorno desiderato m’arrivasti,
la casa era vacante e m’allinkjisti,
tutto de rose a mia me l’adornasti.
Si fussa petra tia nu me movissa,
dintra li mura toi me fravicassi.
Risponde la nuora:
Speciale bona trovata a luna nova
Chissa è a casa da bona fortuna,
mi ci ha mandatu chi bene me vola
si Dio ce la permette e la fortuna:
Jati alla casa casa comu gioia
Date allegrizza che amici ci sunu(?)
Coro
Domane parte la felicità…(?)
Chillu chi va ppe via Diu l’aiuta.
Si parte di lu bene di la mamma
Chira chi tanta cara la tenia…
La sposa alla mamma:
O mamma benedici la figgja…( ? )
Ca minne partu de li tui comandi.
O mamma benedicimi li trizzi
Ca minne partu de li tui carizzi.
O mamma benedicimi li voi
Ca minne partu de lu bene toi.
O mamma benedicimi la via
Ca minne partu e vaju alla strania
Ca ve trovo genti novi e me l’abbrazzo.
O cara madre te cercu perdunu…
…(A questo punto il canto ha termine, qualcuna del coro insiste con…
A sta casa su quattru spuntuni
Dinari chi cci su…ma viene tacitata dalla più anziana perché quei versi appartengono ad altro canto augurale.
(Enrico Ferraro)
IL TERRITORIO DI ZINGA E' RICCO DI SALGEMMA